La bevanda degli dei, il nettare divino e i tanti altri appellativi che sono stati attribuiti alla bevanda più pregiata, sia nel passato che nel presente, non restituiscono comunque l’idea generale di quello che il vino rappresenta oggi per l’uomo e per l’economia nazionale. E quindi, se in vino veritas, è un’amara verità da bere quella che si cela dietro i dati vendite e di raccolta dell’uva dell’anno in corso 2022 in alcune zone vitivinicole del nostro paese.
Settembre è un mese celebre e prolifico per agricoltori e produttori di vino, il mese della vendemmia. Così non è per i vini campani. Parliamo prima di numeri: la produzione vitivinicola campana conta poco meno di 1,4 milioni di ettolitri, ovvero quasi il 3% del totale nazionale, mentre la superficie regionale relegata a questa coltivazione è di circa 26mila ettari di vigneto, il 4% della superficie vitata nazionale. Tre valori percentuali che attestano che tra scenario campano e nazionale, nonostante la qualità dei vini nostrani, c’è una disparità rilevante; il valore del vino campano è solo il 2%, quindi con un prezzo a bottiglia di molto più basso rispetto alla media nazionale.
Parlando con i viticoltori campani, la situazione appare allarmante. L’uva non si raccoglie perché non si vende, non si vende perché i vini di questo territorio non hanno più un mercato florido e i produttori locali hanno da tempo abbassato i prezzi delle loro bottiglie, screditando quindi le eccellenze dei loro territori. Di conseguenza, l’uva non si raccoglie più e va al macero perché le aziende vinicole non sono più disposte ad acquistarne grosse quantità per la produzione dei propri vini locali.
Il vino campano, così come quelli italiani, è il fiore all’occhiello dell’economia nazionale, con una richiesta forte e pressante da parte dei paesi dell’estero. Una domanda che da anni vive e si confronta con la concorrenza con i vini francesi, e nell’ultimo periodo anche con vini prodotti in altre nazioni non solo europee, come Cile, Australia, California. Lasciare invendute bottiglie di alta qualità e mandare al macero quintali di uva pregiata è un enorme rischio per l’economia di tutto il paese.
Se il problema esiste è legato alla domanda di vino ridimensionata nelle quantità, con una diminuzione nel costo, e all’offerta che sta raggiungendo la capienza di mercato italiano e estero. Per questa serie di motivi, è probabile che in molte regioni ci sarà un’eccedenza soprattutto di uve rosse.
Il problema quindi esiste, anche se non per tutti, ma solo per coloro che rimangono con uve o vino invenduti. E se il problema esiste, esistono anche delle soluzioni. Alcuni dati dell’anno in corso rilevano come, in questo settore così richiesto anche per l’export, non ci siano delle vere e proprie azioni di marketing e comunicazione commisurate. I produttori devono, sì fare i conti con i costi di produzione e vendita, ma è pur vero che non sono stati finora chiaramente disposti a investire nelle giuste leve di marketing che hanno invece la capacità di risollevare il settore.
Azioni di comunicazione e strategie di marketing adeguate sembrano ad oggi l’unica strada per espandere la riconoscibilità, non solo dei nostri vini pregiati, ma anche delle eccellenze dei nostri territori. Comunicazione, partecipazione a fiere internazionali, leve e strumenti di informazione, attenzione alla sostenibilità e alla produzione sono solo alcune delle strategie che gli imprenditori devono iniziare a prendere in considerazione per adeguarsi a un mercato nazionale e internazionale in continua evoluzione.
Segnalare al mondo la propria presenza in modo corretto e preciso, per dare nuova luce ai prodotti e sottolinearne la qualità e l’appartenenza al territorio, ecco la soluzione. Marketing territoriale e comunicazione brand sono azioni che non possono più essere aggiuntive, sono essenziali per la riuscita e la ripresa di brand e settori commerciali in declino.
Il vino non si vende perché non comunica. Se non comunichi, non esisti! Fai parlare i tuoi prodotti.
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